Un uomo che ormai non ha più scopi nella vita che, attraverso i video contenuti in uno smartphone trovato proprio mentre stava per prendere una decisione ultimativa, scopre un’altra vita che si dipana sotto i suoi occhi. Si trattava di un ottimo incipit per un mediometraggio tutto impostato, come inizialmente è, su riprese amatoriali.
Sarebbe stato un andare a leggere quella che i sociologi definiscono come la ‘scatola nera’ delle nostre vite, l’oggetto che contiene i nostri ricordi e, per alcuni, i segreti. Solo che questo possibile e interessante rigore narrativo si va a perdere dopo pochi minuti quando le riprese si fanno professionali e si assiste sempre di più a vicende che non possono essere state riprese con il cellulare.
Gli incubi della protagonista, le riunioni con le nuove colleghe che la maltrattano, le riprese in bianco e nero di una storia di malavita sono solo alcuni elementi di questa tipologia. Accanto poi a pregevoli riprese di degrado urbano che ricordano il cinema degli anni ’60 si trovano situazioni come l’incontro dell’insegnante con il tormentato figlio (addirittura) del Ministro della Pubblica Istruzione che stridono totalmente, per la loro inverosimiglianza, con gli accenti realistici di cui sopra.